Un'organo in punta al Cervino

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L'arte organara a quota 4.478 metri

Che gli organari siano avvezzi a lavorare a quote elevate è risaputo, stante la collocazione normalmente sopraelevata degli organi.
Ma certo le cose cambiano quando il soffitto dell’edificio contenitore è il cielo e le pareti sono delimitate solo dalla remota vista dell’orizzonte, e la tribuna dello strumento è una delle vette più alte d’Europa: il monte Cervino, del quale quest’anno ricorre il 150° anniversario dalla prima scalata avvenuta il 14 luglio 1865 dal versante svizzero, da una cordata guidata dal francese Michel Croz e dall’inglese Edward Whymper e, pochi giorni dopo, il 17 luglio, dalla guida valdostana Jean-Antoine Carrel e dall’abate Gorret, dal versante italiano, lungo la Cresta del Leone.
Questa volta la montagna si è vista raggiungere anche da un organo portativo espressamente concepito e realizzato a tale scopo dalla ditta Brondino – Vegezzi Bossi. Nessun altro organo fu mai portato così in alto prima d’ora, e questo primato si deve sicuramente ascrivere prima di tutto a Bartolomeo Brondino (che della montagna è un autentico cultore tanto da non essersi fatto mancare nessuna delle vette più alte della catena alpina).

“Il valore di un’idea sta nel metterla in pratica”. Così Bartolomeo Brondino ha pensato l’iniziativa parlandone con il socio Enrico Vegezzi Bossi e con l’amico Cesare Ravaschietto che della Gran Becca è un esperto conoscitore.
Pensare di portare un organo sul Cervino, idea nata in una fredda sera di gennaio, poteva essere un azzardo, ma il connubio tra la passione per la montagna e la competenza nell’arte organaria ha fatto il resto.
Così al tavolo di lavoro si è unito l’architetto Paolo Ferrero per dare vita ad un progetto ambizioso che ha portato in pochi mesi alla realizzazione dell’organo portativo, costruito sulla base di 2 piedi con 32 canne per un estensione do1 sol 32 accordato con temperamento inequabile che viene suonato solo con la mano destra, mentre la sinistra si occupa dell'azionamento del mantice.
Principio ispiratore del modello è stata la piramide di pietra che è stata riprodotta nelle sue linee essenziali per restituire in scala una cassa d’organo che potesse accogliere un numero di canne sufficienti per dare allo strumento autonomia espressiva.

La facciata occupata dalla tastiera rappresenta idealmente il versante italiano del Cervino, mentre il lato opposto o fianco elvetico è occupato dalle canne inclinate.
Particolare attenzione si è rivolta a limitare le dimensioni dello strumento al fine di agevolarne il delicato trasporto, avvenuto mediante elicottero per un primo tratto fino a Rifugio Carrel (3.830 m s.l.m.), per poi essere issato in spalla dalle ardite guide alpine Alpi-Work fino alla cima (4.478 m s.l.m.) .
Il programma delle celebrazioni si sviluppava su due giorni: il primo (16 luglio) prevedeva gran parte della salita, sullo stesso percorso effettuato da Carrel nel lontano 1865, per poi fermarsi al Rifugio Carrel (3.830 m s.l.m.).
La mattina seguente compiva l’ascensione alla vetta, dove era prevista una cerimonia di amicizia in vetta al Cervino/Matterhorn, con le Guide del Cervino e di Zermatt e Santa Messa in quota, celebrata da don Paolo Papone, parroco di Valtournenche, con l'accompagnamento all'organo portativo di Bartolomeo Brondino.
Il pomeriggio trovava ancora spazio l’esecuzione di un raffinato Corale a 4 voci scritto da Antonio Olmo su poesia di Daniele Riva da parte di un quartetto vocale composto da Luca Sambataro, Paola Farinetto, Modesto Cometto, Jasmine Blanchod.

Da un punto di vista scientifico, l’impresa compiuta nel portare un organo ad una quota così elevata riveste un certo interesse in merito al diverso comportamento del seppur minuto strumento ad una variazione così sensibile di pressione atmosferica: è noto infatti che quest’ultima si dimezza all’incirca ogni 5.000 m, per cui sulla cima del Cervino (4.200 m s.l.m.) la pressione era sensibilmente più bassa rispetto a quelle abituali.
In tali condizioni, è necessario esercitare sul mantice una pressione molto minore per far suonare le canne, che altrimenti ottavizzerebbero.
Sarebbe a questo punto interessante indagare in modo più approfondito le variazioni di intonazione che subentrano a differenze di altitudine più contenute, dell’ordine di poche centinaia di metri, cioè in casi più plausibili di strumenti intonati in un laboratorio ad una quota relativamente diversa da quella del luogo di destinazione.
Spesso si è portati a non considerare l’enorme pressione dell’aria, fluido in cui siamo naturalmente immersi, ma che corrisponde nientemeno che (attenzione: s.l.m.) a 100 tonnellate per metro quadrato o, se si preferisce, a 10 kg per centimetro quadrato!

M° Giulio Piovani